Mobile Spam

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Lo sapevo, ero sicuro che sarebbe successo: come sempre i pionieri di un settore, in particolare nel nostro campo, si rivelano essere gli operatori legati ai numeri a pagamento.

Così come per il web marketing e in particolare per il SEO (i vecchi come me se ne ricorderanno :-) ) i veri primi esperimenti e investimenti arrivarono essenzialmente da aziende legate al mondo dei dialer e dei numeri a pagamento, sembra che la stesso fenomeno si stia verificando con il “mobile marketing”.

Oggi (che emozione :-) ) ho ricevuto il mio primo messaggio di spam mobile:”Messaggio per te! Un amico ti ha invitato su ……. (copro il nome, perché non mi piace fare attacchi personali) . Chiama da telefono fisso 89-970-20-96 e ascolta la voce registrata. Info e costi del servizio su www…………tv”

Ma che bello!!! Certo non possiamo dire che il buon Giambattista Vico non avesse ragione sui corsi e ricorsi storici :-)

La cosa che mi ha fatto divertire di più, è la riesumazione di una vecchia tecnica, (che avevo già esposto in questo blog, e che aveva fatto raddoppiare le conversioni a un mio “caro” amico) che consiste nel presentare il numero 899 come 89-9.

Speriamo nel frattempo che i destinatari del messaggio si siano trasformati da “utenti 1.0″ a “utenti 2.0″ :-)

L’evoluzione del banner advertising

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Le opinioni sull’efficacia dei banner in una campagna di web advertising sono sempre controverse: c’è chi pensa che questa forma di pubblicità sia praticamente inutile e superata, chi la ritiene efficace in strategie di brand awareness, chi invece crede che i banner possano avere valore anche in azioni di direct response.
Lo scenario che mi pare si stia delineando nel mondo del display advertising e dei banner in particolare è quello di una divisione sempre più netta tra l’utilizzo del banner come strumento di branding, quindi con creatività d’impatto su canali molto mirati, con target specifico e acquistati a CPM elevati e un impiego del banner advertising con una logica totalmente opposta ossia attraverso network di advertising che offrono spazi su siti che spesso non vengono resi noti, un CPM o CPC generalmente basso e un monitoraggio accurato delle performance a livello di CTR e tasso di conversione.
Un esempio del primo tipo potrebbe essere rappresentato da alcuni prestigiosi siti di informazione finanziaria rivolti a target di alto profilo, spesso business, con elevati livelli di istruzione e capacità di acquisto, scelti come canali di esposizione privilegiati per beni e servizi specifici.
Un esempio invece dell’advertising performance based può essere rappresentato da circuiti come Oridian, Drive PM del gruppo Atlas, Blue Lithium del gruppo Yahoo e per certi aspetti anche lo stesso site targeting di Google. Con questa tipologia di advertising gli inserzionisti non sanno quali sono i siti dove la campagna sarà visualizzata o in alcuni casi conoscono i siti ma non le posizioni e le sezioni specifiche, hanno un tetto massimo di CPM o CPC di acquisto generalmente molto conveniente, possono impostare un obiettivo di click o anche di conversioni a cui tendere nel corso della campagna con azioni di ottimizzazione che vanno a scremare i siti meno perfomanti a favore di quelli con maggiore resa.
E’ evidente che questa seconda tipologia di advertising si presta particolarmente per tutte quelle aziende performance based per le quali è importante raggiungere risultati indipendentemente dai siti e dal target a cui ci si espone.
In definitiva siamo di fronte a un bivio: da una grandi network con enormi bacini di traffico a poco prezzo e sofisticate piattaforme di monitoraggio ed ottimizzazione automatica, dall’altra pochi siti prestigiosi da pagare a caro prezzo. Che cosa succede a tutta la fascia di siti intermedi dello scenario web? Venderanno il proprio inventory a network sempre più grandi e potenti o ci sarà un maggior sforzo per raggiungere un posizionamento e una maggior qualità dei contenuti?

Call center e conversioni

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Tempo fa, quasi gli inizi del blog, avevo già scritto circa l’importanza dei call center, e di come questi potessero diventare importanti, in particolare con l’arrivo del mobile marketing (scusate mi è partito il link :-) ).

In Italia da sempre abbiamo sottovalutato l’importanza di questo mezzo, spesso non fornendo adeguata formazione alle persone a esso dedicate.

In effetti mi sono sempre chiesto in quale misura un call center potesse migliorare le conversioni provenienti dal web, e quali misure fosse possibile adottare per rendere il più possibile simile o meglio continuativo, l’esperienza di un utente che si interfaccia prima con il nostro sito (landing pages studiate ad hoc fin nel più minimo particolare) e poi con una persona del call center.
In qualche modo, cioè, le persone dedicate al call center, dovrebbero rappresentare la versione umana del nostro sito, e viceversa.

A tal proposito, questa mattina sono rimasto molto colpito dall’affermazione di un mio cliente, il quale mi ha confessato che, da quando ha deciso di assegnare agli operatori del call center, un bonus di 2 euro per ogni booking generato, ha praticamente raddoppiato le conversioni.

Nooo, non pensate a male, questa non vuole assolutamente una frecciatina contro chi imputa il basso tasso di conversioni del suo sito, alle sole attività di web marketing! :-)

P.S. un grazie a Maurizio che mi ha permesso di pubblicare questo episodio che ha riguardato la sua azienda.

Abbassamento di pagerank

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Finalmente dico la mia :-)

Come tutto il mondo SEO ormai saprà, nell’ultimo periodo, molti siti anche importanti, hanno subito notevoli abbassamenti di PageRank.
Nel mirino di questa operazione, almeno così sembra, come afferma lo stesso Matt Cutts, sono finiti in particolare i siti rei di aver venduto link a pagamento (sul come faccia poi Google a individuare i link a pagamento, ci si potrebbe scrivere su un trattato…).
Oltre ai molti portali e blog famosi, in Italia ce ne sono stati alcuni di illustri, sembra che siano stati penalizzati in particolar modo i siti di Comunicati stampa e di Article marketing.
Volendo cercare delle caratteristiche che accomunano tutti i siti che hanno visto calare il loro valore di pagerank, possiamo individuare due fattori principali:

  • Tutti sono caratterizzati dalla presenza di molti link esterni, anche se non necessariamente a pagamento (almeno a detta dei diretti proprietari)
  • L’abbassamento del PR non si è rispecchiato, sempre a detta dei diretti interessati, in un calo di visibilità nei motori di ricerca.

Dando per veritieri i suddetti fattori, l’opinione che mi sono fatto è che gli analisti di Google, non abbiano voluto penalizzare i siti che “vendono” link, o che permettono comunque facilmente l’inserimento di link esterni (forum, comunicati stampa, ecc.), ma solo togliere loro il potere di influenzare il funzionamento dell’algoritmo del motori di ricerca.
I link, e la link popularity, infatti ad oggi rappresenta la tecnica più potente per spingere un sito su Google, la logica di base, che non era poi molto sbagliata, è che più una risorsa è linkata da altri siti, più essa è valida.
L’applicazione di questo concetto, si è però dimostrata più difficile di quanto si pensasse: fenomeni come il google bombing, hanno dimostrato che l’algoritmo di Google, mediante i link, è altamente influenzabile manualmente dagli essere umani (o SEO che dir si voglia :-) ).
Insomma come al solito: fatta la legge, trovato l’inganno. Appena ci siamo accorti che i link potevano influenzare la visibilità nei motori di ricerca, sono nate 150.00000 directory free. Poi appena Google ha dato meno peso alle directory, siamo tutti diventati “giornalisti”, grazie anche alle 300.000 piattaforme di article marketing che si sono sviluppate. Ora siamo semplicemente allo step 3: Google si è reso conto che abbiamo nuovamente trovato un modo di ottenere link facilmente, e corre ai ripari. Certo le piattaforme di article marketing, i forum, ecc, a differenza delle directory, non presentano solo link, ma anche moltissimo testo da indicizzare e una frequenza di aggiornamento molto alta (cose che piacciono tantissimo a Google), quindi penalizzarle significava anche rendere meno visibile una bella massa di informazioni.
A questo punto gli analisti di Google possono aver agito nel seguente modo (e questa è la mia teoria):

  • Individuare i siti caratterizzati da molti link in uscita, ma anche molti contenuti.
  • Togliere loro la possibilità di influenzare il posizionamento di altri siti, mediante l’abbassamento del valore del pagerank.
  • Continuare comunque a includere questi siti, data la loro mole di contenuti, nei risultati dei motori di ricerca.

Non credo quindi, come molti hanno affermato, che Google abbia voluto dare un “avvertimento” a questi siti (come sostengono in molti), dandogli modo di correre ai ripari, ma solo privarli (o quanto meno limitarli) del potere di influenzare il posizionamento degli altri siti.

Come deve essere fatto un sito

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Spesso, sempre più spesso (aggiungerei per fortuna), mi sento rivolgere la stessa domanda: come dovrebbe essere costruito un sito per far si che questo si posizioni nei motori di ricerca?
Sinceramente, soprattutto da un po’ di tempo a questa parte, rispondere con completezza a questa domanda è diventato davvero un‘impresa proibitiva, sia perché è difficile spiegare a uno sviluppatore, che il suo neonato super funzionale sito web, che, grazie alle “nuove” tecnologie (ajax, flash/xml, ecc) è capace di farti anche il caffè, verrà, molto probabilmente, considerato dai motori di ricerca come “inferiore” a un sito costruito 15 anni fa con frontpage, sia perché ci siamo davvero impegnati a costruire un vocabolario tecnico che fa concorrenza a quello degli ingegneri: link popularity, anchor text, add url, spider, Keyword stuffing, espansione della keyword, ban, doorway pages, e chi più ne ha più ne metta.
Per evitare quindi di iniziare questa impresa apocalittica, e per condividere, comunque, delle informazioni utili con il mio interlocutore, preferisco rispondere capovolgendo la domanda, trasformandola cioè in: come non deve essere fatto un sito.
Nel dettaglio, molto sommariamente, un sito non deve:

  • Essere costruito mediante frame
  • Presentare delle url kilometriche, oppure url caratterizzate dalla presenza di nomi talmente fantasiosi, la cui interpretazione risulta ostica persino al proprio inventore (questo sia ai fini di chi si trova a dover interpretare delle statistiche che per i motori di ricerca)
  • Linkare unicamente le pagine mediante menù in flash o javascript. Dico unicamente, perché se proprio vogliamo avere un menù dagli effetti stratosferici, possiamo comunque contemplare l’idea di avere un menù testuale in html nel footer della pagina.
  • Veicolare le informazioni principali unicamente mediate l’utilizzo di immagini o di flash. In pratica dobbiamo sempre ricordarci che i motori di ricerca accedono solo alle informazioni testuali delle pagine.
  • Essere sviluppato su una sola pagina: questo direi è un punto fondamentale, molte volte ho visto interi portali sviluppati su una sola pagina (siti che funzionano unicamente mediante informazioni salvate in variabili di sessione e cookie, oppure siti sviluppati come unico filmato flash). Presentare tutti i contenuti sotto la stessa url, non solo rende il sito inaccessibile ai motori di ricerca, ma toglie anche la possibilità, a chi si occupa di promuoverlo, di definire delle pagine di atterraggio diverse, a seconda dei prodotti/servizi che si vogliono pubblicizzare, rendendo, di fatto, il sito inappropriato a qualsiasi azione di web marketing.
  • Prevedere che la navigazione inizi per forza dalla home page. L’errore più comune, almeno dei “vecchi progettisti web”, è pensare che l’interazione con il sito inizi sempre partendo dalla home page. L’utente può raggiungere il sito in molteplici modi (blog, motori di ricerca, social network, banner, ecc) e atterrare sulle pagine più impensabili. Quindi tutte le pagine del sito devono:
    • Permettere di raggiungere velocemente le sezioni principali del sito.
    • Contenere almeno una minima informazione sull’azienda/ ente titolare del sito.
  • Essere “geloso” dei propri contenuti: molti siti, infatti, sono costruiti in moto tale che molte informazioni siano raggiungibili solo mediante l’utilizzo di motori di ricerca in terni al sito.

Vi assicuro che se i siti fossero già costruiti rispettando questi punti, il lavoro del seo sarebbe molto ma molto più semplice. :-)