Sulla indicizzazione delle immagini – forse ci siamo

No Comments »

Da anni si parla ormai della universal search e dell’importanza di posizionare non solo contenuti testuali, ma anche immagini, video, presentazioni a quant’altro.
Finora a dir la verità, a parte casi sporadici in settori molto particolari, non avevo comunque rivelato grandi risultati da queste attività, almeno in termini di volumi di visitatori. Alla fine l’indicizzazione delle immagini e dei video richiedevano un doppio passaggio da Google Search a Google Image, o Youtube, per poi sperare nel successivo click dell’utente per generare una visita.
Non metto in dubbio che la visibilità su più canali possa comunque generare dei benefici sia al brand che al posizionamento del sito nel suo insieme, ma come dicevo prima, in termini di visite (fatta esclusione per il campo musicale/cinema, dove le immagini dei protagonisti sono ricercatissime) non ho mai registrato grossi volumi.
Da qualche giorno vedo che invece la situazione è cambiata: le immagini presenti nella search di Google in molti casi non puntano più a Google image, ma bensì direttamente ai siti che le contengono.
Ricercando, ad esempio “audi a1”, e cliccando sulle prime 3 immagini proposte da Google potrete osservare il fenomeno che ho appena descritto.
Naturalmente sul come indicizzare le immagini (importanza del tag alt, contenuto del testo immediatamente prima e dopo l’immagine, contenuto della pagina, nome dell’immagine, ecc.) non mi dilungo molto perché molto è già stato scritto in rete, però senza dubbio questo nuovo sviluppo potrebbe essere molto utile ad esempio per gli e-commerce, i quali possono puntare ad indicizzare le foto di tutti i prodotti trattati, es: Passeggini, Asse da stiro, TV Lead, ecc.
Insomma mi sa che per molti ci sarà da rimettere mano alle gallerie fotografiche e alle schede prodotto! Buon lavoro :-)

Ma un po’ di sana formazione SEO?

1 Comment »

Devo ammettere che ormai, forse magari perché ho troppi amici “addetti ai lavori”, pensavo che almeno le logiche basilari del SEO, tra chi millanta di esserlo, fossero più che condivise, invece nell’ultima settimana mi sono sentito fare 2 affermazioni abbastanza scandalose, inizio con ordine:

  1. Penalizzazione dovuta all’alt uguale al title: Ieri mi ha chiamato un mio amico/cliente, che ha pensato bene di assumere anche un “SEO interno”, preoccupatissimo perché il suddetto SEO gli ha detto che il loro blog principale è a serio rischio di penalizzazione perché all’interno dei post, ognuno organizzato nel seguente modo: Titolo, immagine, testo, il tag alt dell’immagine è valorizzato con la stessa stringa che valorizza il titolo del post e il tag title. Certo detta tecnica non trova la mia approvazione, ma da qui a dire che un blog, pienissimo di contenuti originali, venga penalizzato per così poco….. Ma la cosa più bella è che il sedicente SEO ha affermato che la penalizzazione non deriverebbe tanto dalle analisi del caro Googlebot, ma bensì dai competitor che, nello spam report, possono segnalare il blog in questione. Già mi vedo la segnalazione: “caro Google il blog è da bannare perché utilizza il titolo come alt dell’unica immagine presente nel post”.
    Geniale, come ho fatto a non pensarci prima!!!
  2. Il cloaking è permesso, lo utilizza anche Yahoo: questa invece l’affermazione che mi sono sentito fare da un responsabile tecnico di un noto sito editoriale.
    Perché naturalmente qual è la cosa alla quale deve pensare un SEO che gestisce un sito pieno di contenuti? Ma si facciamo un po’ di “sano” cloaking, così ne velocizziamo l’indicizzazione e nel frattempo on line conservo i miei bravi menù in flash e contenuti in javascript.

Mah.. Comunque volendo dare un senso a questo mio sfogo, direi, a chi si avvicina a questo lavoro, di stare molto attenti a:

  • Non credere alle favole: via dai trucchi e da chi vi dice che inserendo un alt in una immagine si raggiunge la prima posizione o si viene bannati
  • Capire che il SEO non consiste nell’essere solo bravi tecnicamente a fare cloaking, ne tanto meno nell’essere dei bravissimi “romanzieri”, ma “semplicemente” saper dosare bene un po’ dell’uno e un po’ dell’altro.

Vaneggiamenti SEO

4 Comments »

Ma i “Magnifici Rettori” sono nati tali, oppure un tempo anche loro sono stati studenti?

E’ meglio essere un Magnifico rettore scadente, o uno studente modello?

No tranquilli non sono impazzito, o almeno non sono più pazzo del solito, voglio solo proporre un piccolo spunto di riflessione circa i tempi necessari al posizionamento di un nuovo sito e le azioni da compiere per abbreviarne il più possibile i tempi.

Ormai tutti sanno che, operando su un nuovo sito (a meno che non si verifichino “strane” e sempre più rare congiunture) è difficile ottenere buoni posizionamenti per keyword competitive.
Per ridurre al minimo i tempi necessari ad avere i primi risultati è buona norma quindi, concentrarsi non solo sulle keyword generiche, ma anche su una discreta quantità di termini di long tail.

Schematizzando questo concetto, otteniamo la seguente situazione:

Nuovo sito

Numero complessivo di pagine = 100
Numero di pagine incentrate su kw competitive = 40
Numero di pagine incentrate su kw specifiche e di long tail = 60
Numero di pagine posizionate dignitosamente nei risultati di google = 20
(se va tutto bene, dopo uno/due mesi).

Score del sito = 20(posizionamenti)/100(pagine) = 0,2

Insomma siamo un Magnifico Rettore scadente, e se provassimo invece ad essere uno studente modello? Vi spiego come: operando su un nuovo sito (studente), potremmo inizialmente completamente dimenticarci delle kw competitive, per concentrarci si termini specifici e di long tail. In questo caso, potremmo ottenere una situazione del genere

Nuovo sito
Numero complessivo di pagine 60
Numero di pagine incentrate su kw competitive –
Numero di pagine incentrate su kw specifiche e di long tail 60
Numero di pagine posizionate dignitosamente nei risultati di google 40

Score del sito = 40(posizionamenti)/60(pagine) = 0,66

Ora la domanda è: arrivati a questo punto, un interlocutore (Google),
su un tema importante (keyword competitiva) ascolterebbe di più uno studente laureatosi con il massimo dei voti(situazione 2), o un Magnifico Rettore scadente(situazione 1)?

Meglio ancora: se si è studenti(sito nuovo) è giusto parlare di argomenti da studenti(keyword di long tail), oppure si devono intraprendere, sapendo di non essere ascoltati, anche argomenti più “maturi” e seriosi(keyword competitive)?

Non sarebbe meglio prima affermarsi come interlocutore serio su argomenti minori, per poi laurearsi e parlare di argomenti più complicati?
……………………
……………………
Oppure viene apprezzata l’audacia, e magari, se non si dicono proprio sciocchezze, è meglio affrontare da subito tutti i temi? Mah……

Come deve essere fatto un sito

No Comments »

Spesso, sempre più spesso (aggiungerei per fortuna), mi sento rivolgere la stessa domanda: come dovrebbe essere costruito un sito per far si che questo si posizioni nei motori di ricerca?
Sinceramente, soprattutto da un po’ di tempo a questa parte, rispondere con completezza a questa domanda è diventato davvero un‘impresa proibitiva, sia perché è difficile spiegare a uno sviluppatore, che il suo neonato super funzionale sito web, che, grazie alle “nuove” tecnologie (ajax, flash/xml, ecc) è capace di farti anche il caffè, verrà, molto probabilmente, considerato dai motori di ricerca come “inferiore” a un sito costruito 15 anni fa con frontpage, sia perché ci siamo davvero impegnati a costruire un vocabolario tecnico che fa concorrenza a quello degli ingegneri: link popularity, anchor text, add url, spider, Keyword stuffing, espansione della keyword, ban, doorway pages, e chi più ne ha più ne metta.
Per evitare quindi di iniziare questa impresa apocalittica, e per condividere, comunque, delle informazioni utili con il mio interlocutore, preferisco rispondere capovolgendo la domanda, trasformandola cioè in: come non deve essere fatto un sito.
Nel dettaglio, molto sommariamente, un sito non deve:

  • Essere costruito mediante frame
  • Presentare delle url kilometriche, oppure url caratterizzate dalla presenza di nomi talmente fantasiosi, la cui interpretazione risulta ostica persino al proprio inventore (questo sia ai fini di chi si trova a dover interpretare delle statistiche che per i motori di ricerca)
  • Linkare unicamente le pagine mediante menù in flash o javascript. Dico unicamente, perché se proprio vogliamo avere un menù dagli effetti stratosferici, possiamo comunque contemplare l’idea di avere un menù testuale in html nel footer della pagina.
  • Veicolare le informazioni principali unicamente mediate l’utilizzo di immagini o di flash. In pratica dobbiamo sempre ricordarci che i motori di ricerca accedono solo alle informazioni testuali delle pagine.
  • Essere sviluppato su una sola pagina: questo direi è un punto fondamentale, molte volte ho visto interi portali sviluppati su una sola pagina (siti che funzionano unicamente mediante informazioni salvate in variabili di sessione e cookie, oppure siti sviluppati come unico filmato flash). Presentare tutti i contenuti sotto la stessa url, non solo rende il sito inaccessibile ai motori di ricerca, ma toglie anche la possibilità, a chi si occupa di promuoverlo, di definire delle pagine di atterraggio diverse, a seconda dei prodotti/servizi che si vogliono pubblicizzare, rendendo, di fatto, il sito inappropriato a qualsiasi azione di web marketing.
  • Prevedere che la navigazione inizi per forza dalla home page. L’errore più comune, almeno dei “vecchi progettisti web”, è pensare che l’interazione con il sito inizi sempre partendo dalla home page. L’utente può raggiungere il sito in molteplici modi (blog, motori di ricerca, social network, banner, ecc) e atterrare sulle pagine più impensabili. Quindi tutte le pagine del sito devono:
    • Permettere di raggiungere velocemente le sezioni principali del sito.
    • Contenere almeno una minima informazione sull’azienda/ ente titolare del sito.
  • Essere “geloso” dei propri contenuti: molti siti, infatti, sono costruiti in moto tale che molte informazioni siano raggiungibili solo mediante l’utilizzo di motori di ricerca in terni al sito.

Vi assicuro che se i siti fossero già costruiti rispettando questi punti, il lavoro del seo sarebbe molto ma molto più semplice. :-)

Registrazione dei domini scaduti: fine del business

No Comments »

Come molti di voi già sapranno, la registrazione di domini scaduti è diventato, in particolare negli ultimi tre anni, un vero business. Anche in Italia il fenomeno ha preso piede e, fino a poco tempo fa, alle 24.00 il nic veniva intasato di fax di lettere LAR.

Prima di continuare, faccio un breve riepilogo per chi non fosse a conoscenza del fenomeno: a causa di alcune caratteristiche dell’algoritmo di Google, quali:

  1. la link popularity
  2. l’importanza data all’età di un sito.
  3. il pagerank.

La registrazione di domini scaduti, già presenti nell’indice di Google e, quindi, già linkati da altri siti, era diventata una pratica molto comune per abbreviare i tempi di indicizzazione richiesta dai nuovi siti.
Il fenomeno, in Italia, ha interessato soprattutto aziende che, una volta registrati i siti scaduti, li utilizzavano per la pubblicazione di annunci sponsorizzati, utilizzando principalmente partership con i circuiti di Miva, Yahoo, ecc.
Google in verità aveva già parzialmente risolto il problema, diminuendo di molto il ciclo di vita (circa 30 gg.) di questi siti: un dominio scaduto, una volta “ri-registrato” può essere facilmente individuato grazie ad alcuni fattori: cambio argomenti trattati dal sito, aumento esponenziale delle pagine del sito, ecc.
Il tempo necessario a Google per l’individuazione dei suddetti elementi, rendeva comunque ancora redditizia questa pratica, a chi era riuscito ad automatizza tutte le procedure di registrazione e pubblicazione di nuovi file.

Oggi, per merito (o per colpa del nic) questo fenomeno, almeno per i “.it”, sembra giunto al termine: ho appena scoperto, infatti, che il Registro italiano ha definito nuove linee guida, in particolare ha stabilito che dopo 60 giorni dalla scadenza:”… Il Registro provvede anche a rimuovere le deleghe relative ai nameserver autoritativi per il nome a dominio in oggetto rendendo, di fatto, il nome a dominio non più raggiungibile sulla rete Internet, pur mantenendo però l’assegnazione del nome a dominio stesso al Registrante….
Semplificando, mentre prima i domini in pending erano comunque raggiungibili dagli utenti e dagli spider dei motori di ricerca (tutti voi vi sarete imbattuti nelle classiche pagine “dominio scaduto” con il logo dell’hosting di turno), ora per 30 giorni i DNS non saranno più risolvibili, ciò renderà irraggiungibili i domini in scadenza.
Questo, presumo, semplificherà di molto l’individuazione dei domini scaduti e quindi la loro esclusione dagli indici dei motori di ricerca, rendendo inutile la registrazione dei domini scaduti.

Rilevanza dei click nelle serp

No Comments »

Oggi ho deciso di parlare di uno dei tanti miti che circola nell’ambiente dei SEO: la rilevanza, ai fini del posizionamento nei risultati naturali di Google, dei click che un sito riceve nelle SERP (Search Engine Result Pages) del noto motore di ricerca.
Molti sono i SEO che sostengono la tesi secondo la quale un elevato click through rate (rapporto tra numero di click e numero di impression) possa essere benefico per il miglioramento dei posizionamenti di un sito nei risultati naturali.
La ragione della diffusione di questa tesi è data principalmente dal fatto che Google, a intervalli più o meno regolari, interpone una sua pagina di tracciamento nel passaggio dalla pagina di risultati ai siti recensiti.
Personalmente non credo molto in questa teoria, per vari motivi:

  1. I siti presenti nei primi 10 risultati sarebbero troppo avvantaggiati rispetto agli altri
  2. La mole di dati da analizzare, dato l’elevato numero di ricerche e di siti presenti in Google, sarebbe davvero impressionante.
  3. Se il click through rate fosse davvero un fattore in grado di influenzare il posizionamento di un sito, la sua rilevazione dovrebbe essere continua e non saltuaria, come oggi avviene.

Penso invece che i motivi che hanno spinto Google ad implementare questa sorta di tracciamento siano diversi e solo alcuni di essi possano essere ritenuti inerenti le logiche SEO: i dati raccolti in questa fasi, infatti, possono essere molto utili per fornire informazioni su elementi come:

  1. Il numero di risultati presi in considerazione dagli utenti.
  2. La propensione a confrontare più risultati a seconda delle aree o settori (travel, finance, educational, ecc.)
  3. La soddisfazione degli utenti: in particolare nei settori non di business, quindi non di confronto prodotti/prezzi, un elevato numero di risultati cliccati, potrebbe segnalare a Google che i siti proposti in prima pagina non hanno soddisfatto gli utenti.
  4. La diversa distribuzione di click tra la prima pagina e le successive.
  5. La diversa distribuzione dei click all’interno della pagina (non dimentichiamo che il buon Google deve comunque posizionare i suoi annunci sponsorizzati e capire fin dove spingersi con le posizioni premium).

Riassumendo: è vero che lo stesso Google afferma di voler prendere sempre in maggiore considerazione le scelte degli utenti, ed è anche vero che lo stesso analytics e la toolbar installata su moltissimi PC, possono fornire dati molto interessanti agli analisti di Mountain View.
Però credo, che le suddette informazioni, dato il loro immenso volume, possano essere utili per estrapolare delle regole generali di settore o tipologia di target, non certo per fornire elementi di ranking per ogni singolo sito presente nell’indice del motore di ricerca.

Il SEO è napoletano

No Comments »

(Il keyword advertising è milanese)

A volte mi capita, anche se ormai vivo a Milano da sei anni, di esser preso da attimi di “malinconia campana”, in questi momenti mi rifugio nelle canzoni del vecchio Pino Daniele e nei film di Troisi e De Crescenzo.
E, proprio in uno di questi momenti, grazie alla visione di “Così parlò Bellavista” di De Crescenzo, mi sono reso conto che il SEO è napoletano e il keyword advertising è milanese.
Mi spiego meglio:
Il SEO vuole i suoi tempi per produrre risultati: si parte dalla segnalazione di un sito ai motori di ricerca, poi segue il passaggio degli spider sulle pagine, la link popularity, i fattore off page (età del dominio, ecc.) il keyword invece è immediato, efficiente da subito: basta caricare una campagna e dopo una quindicina di minuti sei già visibile per le keyword che hai selezionato.
Anche le modalità di comunicazione sono diverse: con il keyword hai a disposizione al massimo 95 caratteri per il tuo annuncio (e via andare!), mentre le pagine SEO devono essere lunghe, discorsive, contenere quante più informazioni possibili in relazione a un determinato argomento (che s’addà fa pe campà) .
Per non parlare della pianificazione economica: il keyword advertising è strettamente correlato a logiche di Cost Per Acquisition (efficienza ed efficacia f..a!) , il SEO, anche lui legato a indici di convenienza, non è misurabile settimanalmente e nemmeno mensilmente, la valutazione della sua efficacia è da valutare nel tempo: i costi delle attività SEO diminuiscono nel tempo, non sono strettamente correlate alla concorrenza, possono beneficiare di vantaggi derivanti dall’”invecchiamento” delle pagine e acquisire un miglior posizionamento (Ricett u pappc vicin a noc ramm o tiemp ca t spertos).
Con il SEO paghi e speri nella bontà divina (bravura dell’agenzia SEO, penalizzazioni da parte di Google, ecc) con il keyword paghi e sei sicuro(o quasi) di essere visibile per le keyword che hai selezionato (lavoro guadagno, pago pretendo!), però diciamocela tutta, il SEO è più “ruffiano”:ormai decine di ricerche hanno dimostrato che le aziende che occupano le prime posizioni dei risultati naturali, per le keyword inerenti il proprio business, sono percepite dagli utenti come leader del settore.
Con il keyword se non hai il giusto budget non puoi intraprendere una campagna che ti assicuri una buona visibilità, con il SEO, purtroppo, qualcuno che ti propone la segnalazione in 500.000 motori di ricerca per 100€ lo trovi sempre, peccato che poi la cosa si riveli peggiore dei classici mattoni napoletani venduti come car stereo :-) .
Vabbè fermo qui questo mio delirio mattutino :-)
Chiudo rispondendo alla domanda che odio più di tutte, ma che purtroppo mi sento sempre fare: ma è meglio il keyword advertising o il SEO?
Diciamo che dopo una bel risotto alla milanese e una bella cotoletta, l’ideale sarebbe chiudere il pasto con una bella fetta di pastiera, un limoncello e un buon caffè :-)

Attività SEO per più paesi

No Comments »

Oggi ho avuto un interessante scambio di opinioni, con un mio amico e collega, sul come procedere per una corretta ottimizzazione di un sito che si rivolge a più paesi e quindi scritto in più lingue.
Le possibilità di azioni, quando nelle varie nazioni si utilizza lo stesso Brand, sono essenzialmente 3:

  1. Ospitare tutte le pagine su un unico dominio dividendo i contenuti per lingua in cartelle, es: miosito.com/it, miosito.com/es, miosito.com/de, ecc
  2. Utilizzare un terzolivello per ogni paese: it.miosito.com, es.miosito.com, de.miosito.com, ecc.
  3. Utilizzare per ogni paese l’estensione nazionale: miosito.it, miosito.es, miosito.de, ecc.

N.B. Sorvolando sulla strategia scelta, è comunque buona norma acquistare tutte le estensioni dei domini che si utilizzano per il proprio business.
La prima, più utilizzata in passato, forse è la più comoda da implementare (specialmente quando tutta la struttura web è gestita da una sola agenzia) ma forse anche la più sconveniente per varie ragioni:

  • Gestione, quantomeno più articolata, del sito su server dislocati in vari paesi
  • Possibilità di dispersione dei link spontanei: molti web master potrebbero scegliere di linkare direttamente il dominio principale e non la sottocartella. In questo modo la index del dominio avrebbe link provenienti da più paesi, a discapito delle varie home nazionali.
  • I motori di ricerca non possono assegnare la lingua ad un dominio ma l’assegnazione deve avvenire a livello di cartelle.

La seconda tecnica, invece, utilizzata da vari portali del settore viaggi, permette di avere un virtual host dedicato per paese (pur presentando nella url il brand del sito principale) assicura di gestire più facilmente il sito su più server, riduce sensibilmente le possibilità di dispersione dei link e permette l’assegnazione della lingua a livello di dominio e non di cartelle.
Il terzo caso, invece, particolarmente consigliato, a mio avviso, quando si hanno grandi quantità di contenuti da pubblicare, presenta tutti i vantaggi della seconda opzione in più può contare su ulteriori condizioni favorevoli, sia a livello seo che a livello mnemonico per l’utente, derivanti dall’avere un dominio con estensione nazionale per ogni paese.
E’ opinione diffusa, infatti, che a parità di condizioni, per una ricerca in lingua italiana su google.it , un dominio con estensione .it è avvantaggiato sui .de,.es, ecc.
Tirando le somme sconsiglierei la prima ipotesi a meno che non si voglia semplificare di molto la gestione a discapito di altri vantaggi sopra elencati e consiglierei di utilizzare la partizione in terzi livelli quando i contenuti non sono molti e quindi si vuole evitare di creare n.piccoli domini, o comunque quando si preferisce conservare una struttura centralizzata, e la terza ipotesi nel caso si abbiano grandi quantità di contenuti da pubblicare e si voglia facilitare, seppur di poco, il posizionamento e il “ricordo” del sito.