Il tag come soluzione di marketing personalizzato

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Amazon.com, noto pioniere di iniziative di marketing, è stata una delle prime aziende a utilizzare il meccanismo dei tag come classificazione personalizzata dei prodotti. In pratica gli utenti possono attribuire un tag, cioè un’etichetta costituita da una parola chiave, ad ogni prodotto, indipendentemente dal fatto che si sia effettuato un acquisto. Un tag rappresenta quindi un modo estremamente personale di classificare articoli di proprio interesse, decidendo poi se si desidera condividere la propria etichetta/classificazione con gli altri utenti.
Il meccanismo mi sembra molto utile non solo per gli utenti, in grado di creare dei veri e propri scaffali virtuali con articoli di proprio interesse ma anche per tutti coloro che possono ricercare prodotti attraverso i tag altrui e trovare modalità interessanti, originali e magari affini per scoprire articoli.
Passando ora al versante marketing, ho riflettuto sulle opportunità che un’azienda può trarre da questo meccanismo. Si pensi ad esempio, a un’azienda che vende online articoli da regalo come RedEnvelope , un sito americano che ho sempre trovato interessante non solo per le idee proposte ma anche per l’attenzione rivolta ai propri utenti che possono condividere il loro calendario di ricorrenze importanti, anniversari, compleanni, ecc. e ricevere un piccolo reminder con tante idee regalo per l’occasione. Oltre ad evitare numerosi litigi familiari, uno dei punti forti di RedEnvelope è stata la sua capacità di classificare in vari modi le idee regalo in modo da facilitarne la ricerca: per ricorrenza, per destinatario, per categoria merceologica, per interessi ecc.
Ecco un caso lampante di come l’attribuzione di un’etichetta potrebbe facilitare la classificazione degli articoli fornendo agli utenti la possibilità di ordinare in modo personalizzato le possibili idee per un regalo, ad esempio con il nome di un familiare o un’occasione speciale.
Che dire a questo punto dei famosi reminder? Si potrebbe pensare ad esempio ad una mail personalizzata per l’anniversario che presenta prodotti che l’utente ha già classificato con un tag riconducibile a quella ricorrenza.
Un approccio esclusivo e su misura per l’utente, che ne pensate?

Link exchange Vs Google

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La storia infinita!

Scusatemi, ma dopo le ultime dichiarazioni di Matt Cutts sullo scambio e la compravendita dei link, e sul relativo strumento messo a punto da Google per permettere la segnalazione dei siti che offrono link in vendita(strumento sul quale ho già espresso la mia opinione), non ho potuto resistere alla tentazione di condividere con voi questo annuncio adsense che ho trovato sul searchenginejournal


P.S. il post non vuole pubblicizzare assolutamente l’azienda in questione, è solo che la situazione mi è sembrata davvero divertente :-)

Alerts AdWords disponibili via SMS

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Google ha recentemente attivato un nuovo sistema di alert per comunicare tramite SMS interventi urgenti da effettuare sulle campagne AdWords.
Cito Google: “Abilitando la ricezione degli avvisi con l’apposita procedura di registrazione, puoi ricevere SMS di avviso in merito a questioni importanti correlate all’account, ad esempio problemi di pagamento, date di fine budget e scadenze di carte di credito.”
Una comunicazione rapida e efficace tramite il mezzo mobile che gli inserzionisti portano sempre con sé, in modo da intervenire tempestivamente sull’account e non rimanere mai a secco di budget:-)

Community ROI e social branding: l’esempio Second Life

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Dopo Vodafone, Toyota, Adidas anche lo stile made in Italy entra a far parte di Second Life con il design di Giugiaro che arrederà e curerà lo stile di un’intera isola.
Il fenomeno delle sponsorizzazioni degli ambienti di Second Life ha sperimentato negli ultimi tempi una crescita rapidissima, come mostra la mappa dei brand, coinvolgendo aziende che si rivolgono ora a un bacino di 5 milioni di utenti.
E’ interessante capire come questa forma di advertising sia vissuta dagli utenti che animano Second Life alla ricerca di un mondo che possa forse escludere i tormentoni del marketing quotidiano.
L’agenzia Komjunit che si occupa proprio dello sviluppo e della misurazioni di azioni di branding all’interno di una community, ha condotto uno studio per valutare la percezione del brand comunicato su questo canale. La ricerca ha rilevato che il 72% dei Second Lifers è sfavorevole e non gradisce la presenza di questa forma di advertising, il 30% non è consapevole dell’esistenza dell’advertising, il 42% pensa che sia solo una moda passeggera del momento. Solo il 7% lo considera come un’influenza positiva per il Brand image verso il comportamento d’acquisto.
Oltre alla ricerca condotta mi è sembrata curiosa la metodologia adottata da aziende come Komjunit per misurare il Community ROI ossia il ritorno economico derivante da azioni di branding all’interno di una specifica community. Innanzitutto viene stimato il numero di membri della community che possono convertirsi in clienti nell’arco di un anno. Si lavora poi su indici come l’elasticità di risposta della community a determinati stimoli, il valore di lifetime del consumatore e il ciclo di vita del brand, la capacità di accelerazione del passaparola all’interno del gruppo e la mappatura giornaliera delle interazioni ed opinioni che si sviluppano intorno ad un certo brand.
Marketing dell’altro mondo?.. no solo di Second Life!

Lamentele di un SEO

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E’ da anni che cerco di sopravvivere, divertendomi non poco, tra i mille cambiamenti ed evoluzioni dell’algoritmo di Google.
Più volte ho avuto modo di affermare che gli ultimi cambiamenti e, in particolar modo, l’eccessiva importanza data ai fattori esterni (età del sito e link popularity), penalizzano oltremodo i nuovi progetti sul web e rappresentano, a mio avviso, una sconfitta dello stesso motore di ricerca di Mountain View: in fin dei conti è come se Google avesse affermato che, data la sua incapacità di classificare i siti in base al loro contenuto, deve far necessariamente riferimento ai fattori esterni per poter costruire una “classifica” di risultati attendibile.
Sia chiaro, non sto sostenendo che ai suddetti elementi non si debba riconoscere nessun valore, però l’importanza che essi hanno assunto nell’ultimo periodo è davvero spropositata rispetto agli altri fattori.
Questa strana classifica degli elementi che concorrono a definire il posizionamento sui motori di ricerca, e la necessità dei responsabili dei siti web e dei SEO di dover posizionare comunque sempre nuovi progetti web, ha dato vita a strani fenomeni quali:

  • La corsa all’acquisto di domini scaduti
  • La compravendita di domini “anziani”
  • La compravendita dei link

Le azioni SEO, per carità scagli la prima pietra chi tra noi non ha mai fatto un po’ di doorway pages e di spam, si sono necessariamente dovute occupare, oltre che della stesura di contenuti, anche della registrazione di vecchi domini, dell’acquisto di link e di scambi (mai “incrociati” :-) ) di link, perdendo così, a volte, il loro focus originale di ottimizzazione di una struttura web in vista di una migliore visibilità, comunicazione, leggibilità e conversione di un utente in cliente. Il motore che ha come motto “non essere diabolico”, intanto grazie a innumerevoli acquisizioni e mosse commerciali è riuscito a possedere il monopolio del search, e ormai anche del web advertising.
L’unico business che, forse, ancora non controlla è la compravendita dei link, per questo mi fa davvero rabbia l’ultimo strumento messo a punto da Google e segnalato da Matt Cutts, che permette di segnalare nel suo libro nero, i siti che offrono link in vendita.
Insomma Google si sta scagliando contro un mercato che lui stesso ha creato, arrivando addirittura a penalizzare una forma di pubblicità e di advertising!
In tutta franchezza, non vedo perchè la qualità e il contenuto di un sito web debba essere correlata al fatto che esso metta a disposizione uno o più spazi pubblicitari dove poter acquistare dei link.
Se gli ingegneri di Google si sono resi conto che il mercato dei link falsa il funzionamento del loro algoritmo, dovrebbero ripensare all’importanza che questi ultimi hanno assunto, e non ricorrere al terrorismo per bloccare questo mercato che loro stessi hanno creato.
Vabbè, scusate lo sfogo, torno a immaginare azioni che possano generare link popularity ai siti che curo, tanto alla fine si sa: nessuno mai si sognerà di linkare spontaneamente un sito aziendale, e allora diamoci da fare con la fantasia, con l’ artiche marketing, i comunicati stampa ecc. (pur essendo d’accordo con Federico quando afferma che la loro funzione originaria è un’altra!)

Il SES secondo Google è Hard

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Non me ne voglia il buon Mauro :-)

Durante la mia quotidiana lettura degli articoli di settore, ho notato che, sul blog di Marco Fontebasso, nell’articolo dedicato al SES di Milano 2007, gli adsense presentano dei link sponsorizzati non proprio a “tema”.
Sembra che Google ritenga che il contenuto della pagina sia inerente le chat e gli incontri on line. Incuriosito dalla strana contestualizzazione ho ricercato “SES” su Google e guarda un po’ cosa suggerisce il motore di Mountain View come risultati correlati alla mia ricerca :-)
Ormai battute di questo tipo sul SES ne ho sentite davero tante, ma non pensavo che al coro si unisse anche il caro Google :-)

La potenza dei link

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Analizzando le SERP relative al settore viaggi, in particolar modo per le aree semantiche inerenti gli hotel, mi sono imbattuto in uno strano fenomeno: la presenza, nei risultati dei motori di ricerca, di pagine indicizzate con il “parametro affiliato” valorizzato.
Mi spiego meglio, effettuando la ricerca “rome hotels” su google.it, tra i primi risultati potrete notare la seguente coppia di annunci:


Come potete osservare la coppia di risultati si riferisce alla stessa pagina, con l’unica differenza che nel secondo caso il parametro “aid”(utilizzato da booking per distinguere i vari affiliati al suo circuito) è valorizzato.
In barba al filtro antiduplicazione, sembra che Google consideri le due url come riferite a due pagine diverse (d’altronde la cache delle due pagine si riferisce a due giorni diversi e riporta dei risultati leggermente differenti) e ritenga entrambe rilevanti ai fini della ricerca effettuata.
Come è possibile che questo fenomeno si sia verificato?

SPIEGAZIONE 1: l’affiliato, dai suoi siti, ha linkato (naturalmente includendo nel link il suo codice identificativo) la pagina di booking riportante la lista degli hotel disponibili a Roma,
lo spider di Google seguendo il link è atterato sulla pagina di “reale” di booking e, per i motivi sopraccitati, ha ritenuto la pagina come rilevante ed “unica” dal punto di vista del contenuto, posizionandola nei primi risultati per una query molto competitiva (In questo caso devo dire che il filtro antiduplicazione non ha poi funzionato molto bene!).

SPIEGAZIONE 2: la pagina di booking non è ben linkata dall’interno del sito e/o comunque non ha backlink esterni, al contrario della pagina con il parametro aid valorizzato. A causa di questo fenomeno google presenta entrambe le url (pur essendo alla fine una sola pagina) nei suoi risultati (Ulteriore dimostrazione della potenza dei backlink).

Voi cosa ne pensate? Siamo di fronte alla nascita di un nuovo fenomeno “spam affiliate link”

P.S non me ne voglia l’affiliato che, sono sicuro, non aveva previsto questo fenomeno.

Hackerato Matt Cutts

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Non concordo con questi metodi (almeno non pubblicamente :-) ), però davvero complimenti al Dark SEO Team per essere riusciti ad hackerare addirittura il sito dell’ingegnere più famoso di Google :-)

Chissà se ora Matts Cutts dovrà scrivere una “lettera di riammissione” al Dark SEO Team :-)

P.S. bellissimo il testo riportato sulla home di darkseoteam.com: Naturalmente mento quando faccio credere a tutti che “content is King”, il seo black hat e lo spam sono i veri re. Google è uno stupido algoritmo che si basa sui backlinks di spam :-) .

Si è appena concluso il fantastico pesce d’aprile di Matt Cutts che ha svelato l’autohackeraggio sul suo sito. Io (Paola) ci sono cascata in pieno e mi sono immaginata questo Dark SEO Team come una sorta di Dead Poets Society del web: diabolici, crepuscolari e affascinanti allo stesso tempo (deformazione femminile in piena regola). Comunque oggi se ne sono lette delle belle sull’argomento, c’è chi ha scritto del doppio hackeraggio inflitto dal Dark SEO Team a Matt Cutts e controbattuta dall’ingegnere di Google sul loro sito. Qualcuno ha analizzato la grammatica per trovarci piccoli errori linguistici dei francesi. C’è chi ha studiato il codice della pagina hackerata pensando che il Dark SEO Team avesse attivato un account di Google Analytics per girare poi le statistiche a Matt.
Insomma curiosità, gossip e un pizzico di amore/odio per il nostro Google: great April’s Fool Day.