Community per difendere la reputazione

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Con la nascita e lo sviluppo delle piattaforme di blog e dei social network, le “discussioni spontanee” focalizzate sui prodotti o sulle aziende, sono diventate davvero numerose.

Non di rado accade, che per ricerche legate ai brand, si ritrovino, nella prima pagina dei risultati dei motori di ricerca, discussioni nate sulle piattaforme di social network, incentrate sul comportamento e/o sui prodotti offerti da una determinata azienda.

Naturalmente i pareri espressi dagli utenti nel corso delle discussioni, possono essere sia positivi che negativi.

Spesso accade che per un malinteso, o perché si ha interesse a diffamare un’azienda e/o competitor, pochi interventi negativi, riescano a influenzare intere discussioni, screditando, non poco, le società coinvolte.

Per controllare questo fenomeno le agenzie di web marketing, almeno alcune di loro, hanno iniziato a fornire servizi di monitoraggio della reputazione on line, intervenendo (o segnalando a chi di dovere di farlo) quando è opportuno, per chiarire delle incomprensioni.

Ragionando sui vantaggi generabili dalle community, mi sono reso conto che, forse, il modo migliore per assicurarsi un accurato servizio di monitoraggio della reputazione sul web, è la creazione di una community on line attorno al proprio brand.

Questa mia affermazione si basa su due punti principali:

  1. I membri di una community, per le leggi sociali che regolano i gruppi, sono spinti a difendersi sempre da attacchi provenienti dall’esterno.
  2. Gli utenti che prendono parte a forme di community on line sono, idealmente, anche utenti molto attivi nelle piattaforme di social network e di blog.

Quindi, tirando le somme di questo discorso, e, estremizzandolo un po’, possiamo affermare che investire nella creazione di una community on line rappresenta un valido metodo per assicurarsi una buon monitoraggio della reputazione sul web.

N.B. naturalmente partendo dall’assunto che i servizi e i prodotti offerti siano di ottima qualità! :-)

Community ROI e social branding: l’esempio Second Life

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Dopo Vodafone, Toyota, Adidas anche lo stile made in Italy entra a far parte di Second Life con il design di Giugiaro che arrederà e curerà lo stile di un’intera isola.
Il fenomeno delle sponsorizzazioni degli ambienti di Second Life ha sperimentato negli ultimi tempi una crescita rapidissima, come mostra la mappa dei brand, coinvolgendo aziende che si rivolgono ora a un bacino di 5 milioni di utenti.
E’ interessante capire come questa forma di advertising sia vissuta dagli utenti che animano Second Life alla ricerca di un mondo che possa forse escludere i tormentoni del marketing quotidiano.
L’agenzia Komjunit che si occupa proprio dello sviluppo e della misurazioni di azioni di branding all’interno di una community, ha condotto uno studio per valutare la percezione del brand comunicato su questo canale. La ricerca ha rilevato che il 72% dei Second Lifers è sfavorevole e non gradisce la presenza di questa forma di advertising, il 30% non è consapevole dell’esistenza dell’advertising, il 42% pensa che sia solo una moda passeggera del momento. Solo il 7% lo considera come un’influenza positiva per il Brand image verso il comportamento d’acquisto.
Oltre alla ricerca condotta mi è sembrata curiosa la metodologia adottata da aziende come Komjunit per misurare il Community ROI ossia il ritorno economico derivante da azioni di branding all’interno di una specifica community. Innanzitutto viene stimato il numero di membri della community che possono convertirsi in clienti nell’arco di un anno. Si lavora poi su indici come l’elasticità di risposta della community a determinati stimoli, il valore di lifetime del consumatore e il ciclo di vita del brand, la capacità di accelerazione del passaparola all’interno del gruppo e la mappatura giornaliera delle interazioni ed opinioni che si sviluppano intorno ad un certo brand.
Marketing dell’altro mondo?.. no solo di Second Life!