Il fenomeno welcome pages

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(usi e abusi)
Dopo gli ultimi aggiornamenti di Bigdaddy e gli eclatanti casi di penalizzazione che ci sono stati(vedi BMW) finalmente sembra che per le doorway, in molti settori, sia arrivato il momento della pensione.
La tecnica sostitutiva che sta riscuotendo maggior successo, per il momento, è rappresentata dalle welcome pages: pagine visibili, con contenuto creato ad hoc incentrato sulla keyword che si ha intenzione di posizionare.
Nei mercati più competitivi, le welcome pages hanno già, in molti casi, preso il posto delle loro “illegali” antenate, infatti cliccando sui risultati organici dei MDR, non è raro che si atterri su una di queste pagine.
Analizzando le nuove “creazioni”, ho potuto però osservare un fenomeno per niente piacevole: in molti casi le welcome pages sono state costruite prettamente con una logica legata agli spider dei motori di ricerca e non agli utenti/navigatori, producendo, così, pagine che presentano solo poche righe di testo e riproducono in modo approssimativo il look & feel del sito.
Mi chiedo se questo passaggio, dalle doorway alle welcome, sia stato davvero un’evoluzione o rappresenti piuttosto un’involuzione.
Mi spiego meglio: per l’utente finale è peggio avere una doorway che redireziona in automatico ad una landing page che contiene in modo chiaro la call to action, oppure una welcome pages essenziale che presenta solo poche righe di contenuto?
La risposta, mi direte voi, è chiara: è meglio avere delle welcome pages costruite bene che trasformino l’utente in cliente.
Per fare questo, però, le sole conoscenze delle logiche legate ai motori di ricerca non bastano più, ad esse vanno affiancate competenze grafiche e di usabilità indispensabili per produrre delle buone landing pages.
Ricordatevi che il fine ultimo del SEM/SEO non è quello di produrre traffico, ma di generare clienti, pertanto la logica principale che deve sottostare alla creazione di documenti web non può non essere legata agli utenti finali.

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